Cultura

70 ANNI DI VOTO ALLE DONNE. CONCESSIONE O CONQUISTA ?

70 anni dal voto alle donne. Concessione o conquista?
di Anna Migliaccio

SEREGNO – Si è svolto ieri sera, 26 maggio al Museo Vignoli, l’evento organizzato da Casa della Sinistra e Serégn della Memoria per ricordare il 70° anniversario dell’estensione del diritto elettorale  alle donne. Concessione o conquista?  Una sorta di piece teatrale fatta di canti, racconti, proiezione di documenti storici offre molti spunti di riflessione che gli spettatori hanno portato con sé, per meditarli in seguito. Noi non possiamo che proporvi la nostra meditazione. Tutto comincia con il canto della lavandaia e il racconto di una condizione femminile totalmente sottomessa e asservita. Al tempo della Grande Guerra un gruppo di maestre italiane pone per la prima volta la questione. Perché le donne che lavorano e rispettano  le leggi non dovrebbero anche contribuire a farle? La risposta è che il diritto elettorale esclude non solo le donne ma tutti i poveri, gli analfabeti, assimilandoli a quelli che hanno qualche disturbo mentale o ai carcerati. La risposta è che le decisioni politiche sono interdette alla gran parte della popolazione e che la discriminante su chi partecipa alla vita politica e chi no si determina per censo.
Quanto è attuale oggi una questione come questa, oggi che una norma così detta delle “quote rosa” forza la composizione sessuata dell’elettorato passivo, ma la disaffezione al voto è sempre più alta e il nostro Paese sta andando incontro alla trasformazione della Costituzione in una direzione sempre più oligarchica. La questione femminile come mi è sempre piaciuto chiamare il dibattito intorno alle donne, e non “questione di genere” come fanno le femministe della sinistra di oggi, non può essere compresa se non legandola alla storia dell’evoluzione complessiva della società, ai rapporti economici e di forza, o di classe, come sarebbe semplice e corretto dire.
Così, in questo racconto, percorriamo la storia della condizione femminile in epoca fascista, dove la donna è addetta alla riproduzione come il proletario alla produzione bellica e alla guerra imperialista. Solo la Liberazione, solo l’opera dei partigiani, dopo avere abbattuto la dittatura fascista abbatterà l’ostacolo alla partecipazione delle donne alla vita politica. Solo la Costituzione nata dalla resistenza eliminerà insieme entrambe le discriminazioni: quella contro le donne e quella contro i poveri e gli analfabeti, gli esclusi e gli sfruttati. Le due questioni non vanno mai distinte, a dispetto di chi si ostina a sostenere che la questione femminile sia una questione sessista. Non lo è. La questione va sempre ricondotta ai modi di produzione, di riproduzione e di gestione del potere nel suo complesso. A tal proposito, la risposta alla domanda “concessione o conquista?” noi la daremo a favore della prima, con buona pace di chi vedrà crollare qualche mito: l’opinione di chi scrive è che nel referendum tra monarchia e repubblica, la prima consultazione elettorale dove le donne esercitarono l’elettorato attivo, la presenza di esse, nei disegni della più retriva borghesia monarchica appariva conveniente, perché era noto che nella società italiana appena uscita dalla guerra e dal ventennio fascista, le donne, maggiormente sottomesse al condizionamento clericale e non formate in massa alla militanza politica, avrebbero aumentato i consensi a favore dell’opzione monarchica. E’ ciò che avvenne, anche se la Repubblica vinse.
Il processo di emancipazione politica, economica e morale della donna fu ancora molto lungo. Invero non è mai giunto a compimento. Solo un’avanguardia di donne partigiane, socialiste, comuniste, anche provenienti dal mondo cattolico, entrò in Parlamento sopportando scherni e dileggio, per contribuire alla scrittura di quella Costituzione che oggi si vorrebbe demolire.
In questo quadro d’analisi quanto è pregnante il racconto Libera nos a malo di Pierino Romanò,  letto dalla voce della figlia. Un racconto di violenze di guerra, di un popolo sottomesso prima di tutto alla visione clericale. “La mattina del venticinque aprile i ragazzi erano alla Cascina del Biroll: era nato un cavallino, magro bagnato e tremante…sangue doveva correrne ancora per le strade di Seregno”  Lo scrittore e politico seregnese Pierino Romanò ci insegna così quanto lungo, infinito, nel senso di mai concluso, è percorso verso la libertà dal male, anche da quello politico, quanto attuale e permanente è l’impegno verso la società socialista, che lui, Pierino Romanò, seguì tutta la vita diventando poi Consigliere comunale, assessore, vicesindaco, narratore di storie della resistenza antifascista e della rinascita politica e morale della città. Ecco perché “la Rosa del Rizìt guardava sbigottita le due cabine…poi mi si accostò tremula: Pierino, ti ch’a s’et intelligent, fam ségn: qual è la gabina per vutà democrazia cristiana?” Quanti uomini e quante donne ci servono oggi del medesimo spessore! A quale sesso la natura li abbia consegnati, in una parità realizzata non dovrebbe contare.

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