Cronaca

SEREGNO – LA PREFETTURA ORDINA LA CHIUSURA DI DUE BAR DEL CENTRO

SEREGNO – Per due esercizi commerciali situati lungo la via della “movida” seregnese è stato emesso dal Comune il provvedimento di chiusura in seguito alla richiesta effettuata dalla Prefettura di Monza Brianza . Il primo esercizio  è “La Torrefazione  srls ” di Corso del Popololo 67/a ( leggi ordinanza notificata  ) mentre  il secondo  dovrebbe essere la Tripodi srl  di piazza Vittorio Veneto ( ordinanza non ancora pubblicata all’albo Pretorio comunale – 01.03.2016. h 15.21 – leggi ordinanza notificata). Le disposizioni sarebbero  originate , secondo la Prefettura . per il primo esercizio ai fatti collegabili alla vicenda riguardante Pino Pensabene (*) di cui la titolare del locale, M. M. residente a Seveso,  è moglie . La donna  gestisce il locale dal dicembre 2014 ed occupa 4 dipendenti;  il suo legale ha  dichiarato che presenterà ricorso al Tar contro il provvedimento, ritenendo di avere elementi sufficienti per dimostrare la completa estraneità della sua cliente con qualsiasi fatto che abbia visto coinvolto il marito .
Per il secondo esercizio il provvedimento sarebbe legato ad una vicenda che ha visto  coinvolto Antonino Tripodi  che lavora nell’attività commerciale che si affaccia sulla centralissima piazza Vittorio Veneto . (**)

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(**) Seregno – Tripodi assolto per associazione mafiosa. Resta la condanna per possesso d’armi –  di Stefania Totaro da il Giorno  10.09.2014

SEREGNO – Assolto anche in appello dall’accusa di associazione di stampo mafioso, ora ricorre in Cassazione per vedersi annullare anche la condanna per armi.
Antonino Tripodi era accusato di fare parte del «Locale» di Desio nell’inchiesta «Infinito» sulla n’drangheta in Brianza. Ma al processo ordinario di primo grado è stato subito assolto dall’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso e condannato a 5 anni di reclusione perchè in un garage da lui dato in affitto a presunti componenti dell’organizzazione mafiosa erano state trovate delle armi da fuoco. L’assoluzione è stata confermata ora anche nel processo d’appello che, in generale, a parte qualche assoluzione, e delle lievi riduzioni di pena, ha confermato l’impianto accusatorio, che aveva portato alle circa 40 condanne fino a 20 anni di reclusione inflitte in primo grado, compresa la conferma del risarcimento a beneficio del comune di Desio. Per Antonino Tripodi è rimasta la condanna a 2 anni e 2 mesi per possesso di armi. «Ma il mio cliente ha soltanto offerto la disponibilità del suo box e nulla sapeva della presenza di armi – dichiara il difensore di Tripodi, l’avvocato Maurizio Bono -. Ora ricorreremo in Cassazione per farci annullare anche questa condanna».
La sentenza di appello ha visto l’aumento di un anno alla pena inflitta a Candeloro Pio, presunto boss di Desio, condannato a 20 di reclusione in primo grado. Quindici anni e nove mesi di reclusione per Domenico Pio, e 11 anni per Candeloro Polimeni. Confermata la pena a 6 anni e 6 mesi di reclusione, inoltre, per Angelica Riggio, la compagna di Domenico Pio, arrestata in un blitz delle forze dell’ordine successivo a quello dell’operazione Infinito, nonché unica donna imputata nel processo. La Corte di Cassazione ha invece confermato definitivamente le condanne per gli altri 90 imputati che hanno scelto il rito abbreviato.

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(*) Seveso – Estorsioni e usura. Il pm chiede 17 anni di carcere per il boss mafioso – di Federico Berni da il Corriere della sera del 17.03.2015

DESIO – Lo chiamavano la «Banca d’Italia». Soprannome, quello affibbiato a Giuseppe «Pino» Pensabene, dovuto a quel giro di prestiti a usura, estorsioni e riciclaggio, che il 47enne di Montebello Jonico (Reggio Calabria) avrebbe gestito da un retrobottega a Seveso: è stato arrestato a marzo scorso assieme ad altre quaranta persone con l’accusa di essere il «nuovo reggente della potente cosca di ‘ndrangheta di Desio». Per questo, il pubblico ministero della Dda Giuseppe D’Amico, ha chiesto la condanna a 17 anni di reclusione, al termine di una requisitoria durata 5 udienze nel processo in corso all’aula bunker di San Vittore, per presunti reati di associazione mafiosa e altre accuse. L’uomo avrebbe gestito una sorta di sistema di credito parallelo, al quale anche molti imprenditori brianzoli si sarebbero rivolti per creare fondi neri. Oltre 30 le richieste di pena, formulate nel processo in corso col rito abbreviato. Tra queste: 11 anni chiesti per l’ex «braccio destro» di Pensabene, Maurizio Morabito, originario della provincia di Reggio, ma domiciliato in provincia di Bergamo; 7 per il presunto referente calabrese della cosca Roberto Morgante; 10 e 8 anni per gli imprenditori brianzoli Domenico Zema e Fausto Giordano.

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