Politica

SEREGNO- SOLO IL 5% POTRA’ AVERE UNA CASA POPOLARE

Seregno, solo il 5 per cento degli aventi diritto a una casa popolare potrà averla sul serio.
( di Anna  Migliaccio )


Titola in questi giorni d’agosto un settimanale locale  che a Seregno dalla “Graduatoria case popolari, “spariscono” gli stranieri” Dice la notizia che “nei giorni scorsi” ma è stato a luglio (ndr) “è stata pubblicata la graduatoria provvisoria per l’assegnazione degli alloggi di edilizia popolare, che comprende 246 nominativi: nei primi cinque posti l’ottanta per cento dei nominativi è italiano, soltanto uno straniero nella parte alta della graduatoria, che diventerà definitiva nel mese di settembre quando l’apposita commissione comunale avrà valutato eventuali ricorsi. Scorrendo l’intera graduatoria nei primi posti il 75 per cento sono italiani. E conclude con la dichiarazione del Sindaco Edoardo Mazza ( nella foto a dx ) che “Quest’anno l’Amministrazione comunale prevede di assegnare circa tredici alloggi a canone sociale”.
Tredici alloggi da assegnare a fronte di 246 domande utilmente collocate in graduatoria significa che la vera notizia non è la nazionalità degli aventi diritto, tutti evidentemente cittadini italiani e non regolarmente iscritti nell’anagrafe della popolazione residente, probabilmente lavoratori o pensionati benché con basso reddito, che pagano le tasse. Dare maggior punteggio agli anziani, pensionati o ai nuclei familiari che hanno in seno un disabile non favorisce né esclude la presenza di stranieri, poiché anche gli anziani potrebbero essere di origini straniere e anche nella famiglia di un residente di origini straniere potrebbe esserci un disabile. Che sia titolo di merito avere una graduatoria di italiani (e nulla vieta che ve ne siano di origine straniera) non lo crediamo e il titolo del giornale appare inquietante. Tuttavia a noi pare che la vera notizia sia un’altra: che il rapporto tra i meritevoli di tutela e coloro che effettivamente ricevono un alloggio è circa del 5%.
Per tanti anni, dal dopoguerra in poi, questo Paese ha sostenuto un principio costituzionale: Case per tutti i lavoratori! L’inventore di questo piano per il diritto alla casa, posto in essere coi fondi Gescal e con l’ente INA CASA non era un comunista. Era Amintore Fanfani. I fondi Gescal sono stati raccolti fino a tempi molto recenti e utilizzati, con poche polemiche purtroppo, per altri scopi. Perché? Perché da oltre un ventennio quel principio costituzionale, case per i lavoratori, non per i “poveri” è venuto meno? Un’idea chi scrive ce l’ha, ed è che la fine dell’edilizia popolare è stato un favore, una compensazione, data a una borghesia industriale che così non ha protestato granché di fronte alla deindustrializzazione del Paese, e ha tratto profitti individuali dalla riconversione di aree dismesse e dalla breve fortuna delle società di costruzione edile.
Oggi, dopo il fuoco fatuo della speculazione edilizia, anche il comune di Seregno (che ha in maggioranza la Lega razzista) ritiene normale farsi vanto di una graduatoria razziale, passando sotto silenzio il vero dramma. I lavoratori, i pensionati, le famiglie con tutto il gravame dei loro problemi non hanno accesso a una casa a prezzi popolari.
Il diritto alla casa per i lavoratori, e non per i “miserabili”. Ecco una cosa di sinistra, scomparsa da Seregno, e non solo.
A settembre 2014 Il Cittadino titolava così: “Città fantasma in Brianza. Almeno 20mila case vuote” E riportava una notizia molto interessante. Che “A Monza nel 2011, come documentato dal censimento, erano liberi 3.719 dei 58.639 alloggi rilevati: ora, secondo gli esperti, il numero dovrebbe essere lievitato. Per il resto della Brianza non ci sono dati aggiornati ma, secondo le stime effettuate dall’ufficio Statistica del Comune, gli appartamenti sfitti dovrebbero essere 24.948 su 345.491. Nelle città più grandi le abitazioni in attesa di essere occupate sono oltre mille: 977 a Brugherio, 1.091 a Cesano Maderno, 1.200 a Desio, 1.291 a Lissone e a Seregno”…
Poi c’è il vasto patrimonio delle case dell’Istituto Autonomo Case Popolari, oggi ente regionale ALER. Un patrimonio che cade a pezzi, con molti alloggi sfitti perché inagibili, un ente con una situazione di dissesto finanziario elevatissima. Un ente dove sono stati collocati dirigenti politici non proprio specchiati come riportava una inchiesta dell’Espresso parlando di quel “Domenico Ippolito che è stato direttore generale dell’Aler, poi rimosso perché coinvolto in inchieste sulla compravendita dei voti con la ‘ndrangheta. E ora è tornato nell’azienda…”
Un ente in dissesto finanziario per diversi motivi politici, e non solo per cattiva gestione. Perché i crediti inesigibili della morosità incolpevole sono frutto della colpevole mancanza di interventi sociali. Perché i fondi di investimento per la ristrutturazione degli immobili dovrebbero essere fondi pubblici e non mutui che l’ente deve contrarre. Ma questo non accade e anzi il patrimonio dell’ALER viene tassato dai comuni con l’applicazione dell’IMU e della TASI come fosse patrimonio privato.

Benché a proposito di mutui, l’inchiesta già citata dell’Espresso evidenziasse che la gran parte di essi “è stata stipulata tra il 2006 e il 2007, mentre i derivati sono agganciati a finanziamenti del 2007-2008. Sarebbero questi, quindi, gli “anni ruggenti” del Pirellone di Roberto Formigoni in cui Aler si è lanciata in avventure ad alto rischio, rivelatesi dei pessimi affari. Tra queste, Asset è sen’altro la più famosa. È una società controllata totalmente da Aler, creata nel 2005 con finalità che vanno dall’acquisto di terreni alla costruzione e commercializzazione di immobili, compresi alberghi e centri commerciali. Ambizioni che spingono Asset a uno shopping sfrenato. L’operazione più importante è quella di Pieve Emanuele dove acquista dall’Enpam (Ente nazionale previdenza medici e odontoiatri) una vasta area e diversi stabili, per realizzare e vendere alloggi, oltre a uno shopping center. Per finanziare l’iniziativa, Asset stipula mutui con Intesa per 32 milioni, cui se ne sarebbero aggiunti 41 di finanziamento regionale. Nel 2009, poi, a Garbagnate Milanese acquista un complesso da destinare alla vendita; anche qui, Asset chiede un mutuo di 29 milioni, seguito da 7 milioni nel 2012 per rilevare di altri terreni. Alla fine, Asset si indebita per 66 milioni ma i progetti svaniscono nella nebbia. A Pieve non è stato riqualificato nulla (anzi: l’area sprofonda nel degrado), mentre la crisi ha bloccato la vendita degli appartamenti di Garbagnate. Non solo: a Pieve, Asset ha dovuto demolire (con un prestito da Aler di 1,5 milioni) alcuni degli immobili acquisiti, ormai sul punto di crollare. Dal 2010 a oggi Asset è stata sempre in perdita: un buco nero che ha risucchiato alla controllante oltre 11 milioni. Senza dimenticare l’avventura tripolina: nel 2007 Asset acquisì una partecipazione in Finasset, società che avrebbe dovuto ricevere da Gheddafi commesse per ristrutturare palazzi ed edifici storici in Libia”.

Strabilianti avventure finanziarie che peggiorano il dissesto strutturale invece di migliorarlo. Al risanamento di Aler avrebbero potuto essere destinati quella montagna di soldi che Maroni ha speso per i tablet e le attrezzature informatiche per un inutile referendum.

Ma torniamo al patrimonio edilizio dei comuni ed in particolare a Seregno. Se è vero che esiste una grande quantità di case costruite e sfitte, bisogna che prima o poi costruttori e politici siedano a un tavolo per trovare soluzioni a vantaggio collettivo e non individuale. Il problema della casa per i lavoratori è un problema politico nazionale, e non può risolverlo un comune. Però togliere l’IMU a chi affitta a canoni calmierati, abbassare tutte le tasse e magari arrivare a contratti anche più vantaggiosi per la messa in disponibilità pubblica di proprietà private non è un sogno impossibile. E’ una azione che ovviamente lede fortemente gli interessi di taluni imprenditori edili, magari legati alle stesse lobby da cui proviene il consenso politico.

Case per i lavoratori era ed è una idea di sinistra, ed è una idea ancora e sempre attuale, visto che coi fondi Gescal i lavoratori le case se le pagavano da sé. Perché non reinventarsi questi fondi, magari con la partecipazione di un consorzio vasto di comuni? Hanno inventato le “tasse di scopo”. Non è vietato a nessun comune provare a creare un fondo per acquisire, ristrutturare, recuperare, costruire se serve, case per i lavoratori. E’ una idea sempre attuale o riattualizzabile la cooperativa costruttrice a proprietà indivisa e con affitti popolari o a riscatto. E’ una scelta politica dare edificabilità a terreni destinati a tali usi e non altri. Una amministrazione attenta al bene collettivo dovrebbe vantarsi di scelte come queste e non di criteri razziali nella formazione delle graduatorie inutili. A Seregno servono almeno trecento case per i lavoratori. Solo per cominciare.

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