MONZA – SANITA’: NUOVO TRATTAMENTO SALVANEURONI DOPO UN ARRESTO CARDIACO AL SAN GERARDO

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MONZA – SANITA’: NUOVO TRATTAMENTO SALVANEURONI DOPO UN ARRESTO CARDIACO AL SAN GERARDO

MONZA – – Quando il cuore smette improvvisamente di funzionare, come avviene nell’arresto cardiaco, il cervello inizia subito a soffrire per la carenza di ossigeno. In Italia, ogni anno, si registrano circa 60.000 casi di arresto cardiaco con un importante impatto sulla popolazione e sul sistema sanitario: solo l’8% di questi pazienti sopravvive senza riportare danni neurologici gravi o disabilità. Una nuova speranza nel trattamento di questi pazienti viene dall’Argon, un gas nobile presente naturalmente nell’atmosfera (costituisce infatti l’1% circa dell’aria che respiriamo) che sarebbe in grado di preservare i neuroni dei pazienti colpiti, limitando i danni neurologici e migliorando il recupero a distanza.
È questa l’ipotesi che si prefigge di verificare lo studio CPAr (Cardiopulmonary Resuscitation con Argon), uno studio di Fase I/II, che, nella parte di Fase I valuterà il profilo di sicurezza e, in quella successiva di Fase II, la fattibilità e l’efficacia della somministrazione di questo gas ai pazienti rianimati da arresto cardiaco. Lo studio, promosso dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, si basa sui dati già disponibili nei modelli animali per trasferire queste conoscenze sull’uomo.
La Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori è la seconda struttura in Italia, dopo il Policlinico di Milano, ad aver raggiunto i rigidi standard di idoneità per partecipare allo studio, che è attualmente in corso presso il reparto di Terapia Intensiva Cardiochirurgica e ha già arruolato 3 pazienti nel primo mese di operatività. Questo importante risultato è stato possibile grazie ad una stretta collaborazione tra la Struttura complessa di Anestesia e Rianimazione diretta dal prof. Giuseppe Foti, docente di Anestesiologia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e il Centro di Ricerca di Fase 1  diretto dalla prof.ssa Marina Cazzaniga, docente di Oncologia Medica presso la stessa università.
Quando abbiamo pensato sette anni fa a questo centro di Ricerca, abbiamo fortemente voluto la possibilità di creare una Struttura certificata in AIFA che comprendesse tutti i livelli di intensità di cura, per poter offrire terapie innovative, non solo ai pazienti oncoematologici, come accade nella maggior parte dei Centri italiani, ma a tutti i pazienti. Gli standard di sicurezza e monitoraggio in uno studio di Fase 1 eccedono di gran lunga quelli previsti nella normale pratica clinica. I pazienti che partecipano agli studi di Fase 1 sono soggetti infatti a molti più controlli, per il monitoraggio di effetti collaterali anche minimi. Il Centro di Fase 1 a oggi ha avviato 14 studi in diverse discipline, arruolando oltre 100 soggetti e rappresenta una importante possibilità per molti pazienti affetti da varie patologie di accedere a farmaci assolutamente innovativi. Una scommessa sicuramente vinta, la cui importanza oggi è ancora più strategica nell’ambito del nuovo IRCCS”, commenta la prof.ssa Cazzaniga.

“Il traguardo è ancora più importante se si pensa che quello in corso rappresenta uno dei pochissimi studi in Fase 1 svolti in Terapia Intensiva dove il contesto di emergenza-urgenza crea condizioni molto difficili per la realizzazione di progetti di questo tipo che per lo più si realizzano in modo programmato. In questo caso la programmazione non è ovviamente possibile ma l’organizzazione nel suo insieme ha permesso di raggiungere gli standard necessari anche in queste situazioni estreme” aggiunge il prof. Foti.