Sono 516.000 quelli che dopo la pensione continuano a lavorare. Degli autonomi più della metà non smette mai
Fonte: Eurostat e Banca d’Italia
Finire di lavorare, ma solo sulla carta, continuando ad andare in ufficio, in fabbrica, in negozio o nei campi anche a 65, 70 anni e oltre. Sì, perché il fenomeno dei pensionati-lavoratori è una realtà che riguarda 516.600 italiani, tra questi 140.900, nel 2023, tra i 60 e i 64 anni, 164.200 tra i 65 e i 69 e 115.300 persino tra i 70 e i 74 anni. A livello percentuale, secondo Eurostat, si tratta del 9,4% dei 50-74enni che ricevono una pensione di qualsiasi tipo: di questi il 6,6% ha continuato a fare lo stesso lavoro che svolgeva prima del pensionamento e il 2,8% ha cambiato mansione, spesso intraprendendo una nuova carriera. Un dettaglio, ma importante: è vero che i pensionati-lavoratori sono il 9,4% di tutte le persone in quiescenza, ma in realtà diventa il 13,1% se si considera chi ha un assegno pensionistico dovuto a un impiego lavorativo precedente e non percepito per altro motivo, come, per esempio, una reversibilità.
Ma perché si continua a lavorare? Bella domanda! In parte è certamente un segno dei tempi ossia ha a che fare con lo spostamento in avanti delle tappe della vita, dal matrimonio alla genitorialità, dall’inizio del lavoro alla, appunto, pensione. Infatti in 20 anni, dal 2003 al 2023, il tasso di occupazione degli over 50 (pensionati e non) è salito dal 23,1% al 34%, crescendo a un ritmo superiore di quello medio europeo. L’incremento maggiore è quello che ha interessato i 60enni: la percentuale dei lavoratori tra i 60 e i 64 anni è più che raddoppiata nello stesso periodo, passando dal 19,8% al 44,1%, mentre tra i 65 e i 69 anni dal 6,3% al 14,7%. In quest’ultimo segmento la differenza rispetto al tasso di occupazione europeo, del 15,2%, è minimo.
Tra l’altro si tratta di un fenomeno che ha interessato soprattutto le donne, il tasso di occupazione delle 60-64enni ha visto uno spettacolare aumento in 20 anni, dal 9,4% al 35,4% e questo dimostra che alla base di questo trend ci sono certamente cambiamenti socio-culturali, ma anche – e spesso sono preponderanti – legislativi, come le riforme della previdenza, in particolare la legge Fornero.
Gli autonomi non vanno veramente in pensione
Ma se però anche quando si è raggiunta la pensione si rimane occupati, significa che ci sono anche altri motivi. E infatti ci sono. Per il 29,7% di coloro che lavorano pur essendo in pensione si tratta di una scelta dettata dalle necessità finanziarie, e a questi bisogna aggiungere un 6% che secondo Eurostat lo fa perché è economicamente conveniente. Sono percentuali che tra le donne salgono al 33,1% e al 6,4%. La media Ue è inferiore, il 28,6%, nel caso di tutta la popolazione e del 30,1% in quello delle donne. In altre parole, per dirla tutta: in Italia spesso si continua a lavorare perché la pensione non basta e questo significa che, se non si vuole correre il rischio di essere costretti a rinunciare al riposo, ai nipotini o agli hobbies trascurati per tutta una vita, occorre pianificare il futuro fin da subito.
Vediamo adesso chi sono coloro che rimangono al lavoro. Come si vede dal grafico da un lato ci sono i manager, il 34,1% dei quali non si mette a riposo neanche dopo avere cominciato a ricevere un assegno pensionistico: si tratta di persone evidentemente mosse da motivazioni sia economiche che professionali forti, ma numericamente piccolo. Dall’altro ci sono comparti certamente meno privilegiati e molto vasti, innanzitutto i lavoratori del commercio, dei servizi e dell’assistenza alla persona: tra questi sono il 24,1% a rimanere attivi dopo la pensione, nonostante le mansioni stancanti, evidentemente molto spesso per necessità economiche. Poi ci sono, con il 23,3% di pensionati lavoratori, gli artigiani e operai specializzati, ma il record, il 54,4%, si raggiunge nell’ambito degli addetti all’agricoltura. In quest’ultimo caso è superata, e di molto, anche la media europea del 40,1%.
Tra i fattori che spingono verso questa scelta c’è anche l’inquadramento dei lavoratori: c’è una differenza nettissima tra il comportamento dei dipendenti e quello degli autonomi, tra questi ultimi, infatti, continua a lavorare ben il 56,6% di chi è andato in pensione. Le partite Iva, i commercianti, gli artigiani, i free lance godono di una maggiore flessibilità, che consente loro almeno in parte di scegliere il grado di impegno, ma sono caratterizzati anche da una più grande instabilità economica, che negli ultimi anni è cresciuta e che evidentemente li induce e continuare a lavorare.
Gli over 65 cominciano a risentire dei tempi che cambiano
Come abbiamo detto: nonostante la relativa solidità della situazione economica delle generazioni nate tra gli anni ’50 e ’60, la pensione non garantisce sempre serenità finanziaria e andrà peggio in futuro, quando a pensionarsi saranno quelle fasce di età che negli ultimi decenni sono state a ragione additate come più “sfortunate” rispetto alle precedenti. Come mai? Perché la carriera lavorativa dei giovani è caratterizzata da una maggiore precarietà e, per di più, subiscono gli effetti di regole previdenziali molto meno favorevoli, che, per esempio, già tra una quindicina d’anni porteranno i 45-50enni di oggi a percepire una pensione di più del 30% inferiore all’ultimo stipendio. I dati della Ragioneria Generale dello Stato dicono che con 38 anni di contributi oggi il tasso di sostituzione netto (il rapporto tra pensione e ultimo salario) è superiore all’80% ma nel 2040 scenderà, se nulla cambierà a livello legislativo, al 69,1% per i dipendenti privati e al 67,4% per gli autonomi. Ovvio che con questi numeri sempre più persone continueranno a lavorare. Soprattutto se non cominciano fin da subito a costruirsi il proprio futuro.